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12/01/2018
Riflessioni in merito al vero ruolo del sindacato di categoria.
Riflessioni in merito al vero ruolo del sindacato di categoria: "braccio armato" a sostegno della politica del CNO o "difensore degli interessi collettivi ed individuali con sguardo rivolto al futuro?
Entro volentieri nel dibattito sul “sindacato che vorrei” apprezzando lo spessore del contenuto degli interventi – quello del collega Piscaglia dell'ANCL regionale dell'Emilia, quello del collega Latella dell'Associazione Giovani Consulenti, per finire con quello del collega Papini, espressione dell'U.P. di Firenze – anche quando taluna delle tesi sostenute non mi trova d'accordo. E ne spiegherò le ragioni. Tralascio, ma non trascurandone l'importanza, i punti di vista degli altri colleghi con taglio non prettamente politico, perché ritengo che in questo contesto storico solo quelli strettamente tali e di “sistema” siano fondamentali per la sopravvivenza dell'ANCL e necessari a comprendere se l'ANCL vanta ancora un suo scopo oppure ha snaturato la sua funzione per opportunismi contingenti.
Il nodo a cui si è giunti è la diversa visione sulla funzione del sindacato che, a parere del collega Latella, «non deve pensare di avere vita propria e di tracciare una strada slegata dall'organo politico (nota: il CNO e i vari CPO) quando invece dovrebbe… esserne il “braccio armato”. Il sindacato non deve pensare di essere esso stesso l'interlocutore politico della categoria perché altrimenti … così facendo, perderebbe il suo ruolo ….».
Di tenore opposto l'idea di chi, come il collega Andrea Papini, ritiene che un sindacato abbia il suo scopo principale nella “tutela” (dei propri associati) e quando “difenda gli interessi presenti con uno sguardo al futuro, ricercando, sviluppando e proiettando nel tempo competenza e funzioni”.
La prima concezione, quella del “braccio armato” non convince e, anzi, rappresenta, a mio parere, un enorme errore concettuale; un esempio di profonda involuzione del concetto di associazione sindacale in uno stato democratico e con principi democratici, come il nostro. Il richiamo che suscita in me il modello proposto dal collega Latella, è quello dello stereotipo del sindacato sovietico, apprendibile in un qualsiasi manuale di storia del movimento sindacale; nel contesto antecedente la presa del potere da parte del regime comunista il sindacato era, appunto nella Russia pre–comunista, il “ braccio armato” del “popolo”, inteso in quella ideologia come istituzione, il quale doveva preparare l'avvento al potere del popolo medesimo. Potere che, una volta raggiunto da parte di quest'ultimo, rendeva insignificante e non più necessaria la funzione, tipica di un sindacato, di difesa degli interessi dei lavoratori nel momento che essi si identificavano con la stessa Istituzione che governava. Ecco perché da quel momento il sindacato, nel contesto sovietico, perse la sua originaria e schietta funzione per assumerne un'altra, quella di controllo dei lavoratori per individuare chi, all'interno delle fabbriche e del sistema economico collettivizzato, mal digeriva quel sistema totalitario e opprimente. Differentemente, in uno stato democratico, costruito sulla libertà economica, l'ordinamento giuridico riserva alla libertà di associazione una speciale tutela; nel nostro, in particolare, tramite una Costituzione che risale al 1948, si prevede la libertà di associazione e di rappresentanza “della parte sociale“ negli artt. 18 e 39 della Carta; concetti ripresi e rafforzati nell'art. 28 del CEDU (Carta Europea Diritti dell'Uomo).
Quello di cui oggi è totalmente carente l'associazione sindacale, a valere per tutti i lavoratori professionisti che hanno nel contempo ottenuto il diritto ad un loro “Ordine”, è l'applicazione proprio dei suddetti principi inseriti nella Carta Costituzionale e la consapevolezza di ciò che vuol dire essere “parte sociale” nonché del significato di “rappresentanza” degli iscritti… e l'ANCL non sfugge certamente a questa patologia.
La conseguenza è che si è distorto il concetto della “rappresentanza tecnica” demandata agli Ordini per legge, come controllo sulle attività affidate dalla stessa al professionista – nel nostro caso la 12/79 – arrivando a farlo coincidere con quello della “rappresentanza” costituzionale necessaria per la tutela degli interessi individuali e collettivi; e tale scenario si è reso possibile perché l'associazione sindacale nella sua cronica carenza, per fattori quali impreparazione, insufficienza culturale dei propri quadri incluso sicuramente chi scrive, pochezza di mezzi economici e di tempo materiale, ha determinato una attività suppletiva degli Ordini, nello “spazio” maldestramente abbandonato dall'associazione sindacale, del tutto debordante e fuori da ogni competenza diretta; e ha determinato altresì la distorta ma rispettabile visione di colleghi che, iscritti all'associazione sindacale, militano in essa avendo però testa ed obiettivi personali rivolti alla nomina ad incarichi presso l'istituzione ordinistica, certamente più remunerativa in termini di ambizione personale. Il collega Papini ben delinea il concetto della funzione sindacale, nel suo pregiatissimo articolo, sintetizzandola mirabilmente nello “sguardo al futuro “. Sicuramente, se il sindacato avesse operato con un tale stato di consapevolezza, non si sarebbe trovato impreparato, ad esempio, al fenomeno della sussidiarietà e a tutto quello che ne è conseguito per la nostra categoria.
Tutti sappiamo quanto sia demagogica e opprimente la sussidiarietà imposta dalla P.A. nel trasferirci competenze che non abbiamo richiesto, con obblighi finemente sanzionati. Oggi ci siamo accorti che nell'attuazione di questo principio, apparentemente sacrosanto e moderno, si è generato un imponente fenomeno sociologico di “disagio” di cui, in un crescendo dal 1998 ad oggi, solo recentemente abbiamo preso coscienza intuendo una necessità di tutela a siffatto disagio, con una declinazione di “nuovi” diritti, che è utile qui ricordare per contrastare l'idea di chi li vorrebbe sostituire con le “opportunità” ( ma quali?!) create dal “trasferimento di competenza”.
Dal diritto ad un equo compenso per l'attività di intermediazione al diritto alla malattia ed al riposo, dalla conciliabilità dei tempi di vita–lavoro e la difesa dalla posizione dominante degli Enti al diritto alla equiparazione del reddito impresa/lavoro autonomo, dal diritto all'unicità dell'accesso digitale con l'ausilio di un unico portale pubblico al diritto di partecipazione all'agenda digitale … l'elencazione sarebbe ancora lunga e, su ogni argomento, non basterebbe un articolo ma credo di aver ben delineato e anticipato il sindacato che vorrei.
Vorrei un sindacato all'altezza dei suoi compiti; autonomo nella tutela dei diritti e sinergico con le istituzioni nella difesa delle attività professionali; rispettoso dell'istituzione a condizione di reciprocità, consapevole del suo ruolo, fondamentale, basato su principi non cedibili e non trasferibili; un sindacato dove il rispetto della maggioranza sia coniugato alla tutela della minoranza; dove vi sia certezza di dirigenti sindacali non etero diretti ma la cui funzione sia quella di rappresentanti di ultima istanza; dove l'unità sia il risultato di un aperto confronto di idee e non di un conformismo esasperato; un sindacato che faccia dell'utopia la realtà del futuro. Ma soprattutto vorrei un sindacato che sia cosciente che alcuni principi, come quello di autoregolamentazione del diritto di sciopero, non sono negoziabili: mai…
Luglio 2016